
Come molti ricorderanno, la prima apertura di Donald Trump alla Russia di Vladimir Putin, nel febbraio scorso, si era segnalata per il riferimento alla «lotta comune sui campi di battaglia della Seconda guerra mondiale» che era non solo un ammiccamento al neo-nazionalismo russo, che della vittoria sul nazismo ha fatto un vero mito fondativo, ma anche un dito nell’occhio agli europei, che dal 2015 (come reazione all’occupazione russa della Crimea) escludono se stessi o la Russia da tutto quanto è celebrazione comune di quella vittoria, dalla cerimonia sulla Piazza Rossa del 9 maggio agli incontri per l’anniversario dello sbarco in Normandia. Siamo arrivati all’assurdo di vedere ad Auschwitz, proprio poche settimane prima della sortita di Trump, per gli ottant’anni dalla liberazione del campo, la presenza degli eredi (ovviamente incolpevoli) dei nazisti sterminatori e l’assenza degli eredi dei liberatori sovietici.
Sin dall’inizio della guerra in Ucraina, il tema del ruolo sovietico-russo nella lotta contro il nazismo, e per converso quello della rinascita di un’ideologia para-nazista sotto forma di russofobia e di negazione del ruolo russo nella vittoria sulle armate di Adolf Hitler, è stato importantissimo per la propaganda del Cremlino. Proprio come quello dell’innato imperialismo russo e del pericolo per l’Europa lo è stato per la propaganda occidentale. Ancora di recente, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha sparato a palle incatenate contro Kaja Kallas, ‘alto commissario Ue per la politica Estera’, accusandola di voler far rinascere un’ideologia neo-nazista avendo lei intimato ai Paesi Ue e soprattutto a quelli che nella Ue vogliono entrare di non recarsi il 9 maggio a Mosca per la Parata della Vittoria. Ancora una volta, quindi, russofobia (o presunta tale) e filo-nazismo sono equiparati nella narrativa ufficiale russa.
Il discorso russo, però, sta prendendo una piega nuova alla luce della posizione di sostegno all’Ucraina (e, piaccia o no ammetterlo, della prosecuzione della guerra) presa dalla Ue, in contemporanea con la divaricazione delle posizioni (e non solo sul tema Ucraina) tra Usa e Ue. La Russia, adesso, cerca di giocarsi con gli Usa la carta dell’Europa ideologicamente non affidabile, pronta a imboccare una deriva simil-nazista in odio alla Russia, com’era già prima, ma ora anche in odio agli Usa.
Lo testimonia l’articolo pubblicato sul sito dell’SVR (il Servizio Informazioni Estero), uno dei tre rami dei servizi segreti russi, intitolato «L’Eurofascismo, oggi come ottant’anni fa, è il nemico comune di Mosca e Washington», la premessa. L’SVR è diretto da Sergej Naryshkin, che non solo è di San Pietroburgo come Putin, del quale non solo è coetaneo ed ex compagno o di studi all’accademia del Kgb, ma che gli è praticamente l’ombra. Anche lui ha scritto una tesi di master in Economia, anche lui ha lavorato all’estero (a Bruxelles), anche lui è stato un funzionario del comune di San Pietroburgo e ha militato nel KGB. Anche Naryshkin, come Putin, ha diretto l’amministrazione presidenziale e, come detto, un ramo dei servizi segreti.
Forse proprio in virtù di questa sintonia personale e professionale Naryshkin ha potuto permettersi di contraddire Putin, davanti a tutto il Consiglio di sicurezza e in diretta Tv, quando questi di fatto annunciò, nel febbraio 2022, l’intenzione di andare allo scontro con l’Occidente in Ucraina. Visibilmente preoccupato, Naryshkin disse che forse sarebbe stato meglio trattare ancora. Fu rimbrottato in modo aspro e da allora non si è più permesso posizioni discordanti da quelle dello Zar. Ma nonostante tutto questo, ha conservato la fiducia di Putin, che non ha smesso di affidargli missioni delicate. Come l’ultima per esempio: prendere contatto con il capo della Cia, John Ratcliffe, e concordare con lui contatti regolari tra le due organizzazioni.
L’articolo in questione è interessante perché mostra quanto i russi abbiano percepito la parte essenziale della contestazione trumpiana all’Europa. Che non sta tanto nelle questioni commerciali ma nell’idea che l’Europa sia diventata debole e inaffidabile perché da un lato impegnata a sfruttare la protezione americana e dall’altro incline a rinunciare ai valori fondamentali di una società libera. È l’Europa ormai troppo liberal per essere ancora davvero liberale, un’Europa che soffoca le libertà individuali e collettive come quella descritta dal vicepresidente J.D. Vance nel suo ormai famoso discorso a Monaco di Baviera. L’Europa che, prima ancora di essere minacciata da Russia e Cina, è minacciata da sè stessa e dalla propria deriva autoritaria.
L’intero articolo del servizio segreto russo, al di là delle forzature e delle ricostruzioni di comodo, ammicca alla postura americana, sottintendendo la possibilità, anzi l’utilità, di un’intesa tra Russia e Usa contro il pericoloso declino di un’Europa che, dietro la russofobia, nasconde appunto un’inclinazione revisionista, autoritaria e in definitiva pericolosa per tutti. Per dirlo con l’SVR, all’insegna della “la speranza di una nuova unificazione degli sforzi tra Mosca e Washington, capace di impedire che il mondo scivoli verso un nuovo conflitto globale e di fronteggiare possibili provocazioni sia provenienti dall’Ucraina sia dagli «europei impazziti».